Essere digitale, essere B-Corp

essere B-Corp

Il mese di marzo è stato dedicato alle B-Corp: ecco cosa significa per noi esserlo!

Lavorare alla digitalizzazione delle aziende come fa CRMpartners e non essere una B-corp se guardiamo bene alle ragioni fondamentali dell’impresa, sarebbe quasi una contraddizione: la consulenza serve ad accorciare le procedure, a renderle sostenibili; serve a proporre processi razionali e inclusivi, serve ad avvicinare le persone, ad assottigliare le barriere; serve a includere chi produce nel mindset di chi utilizza, e a incrementare l’influenza di chi utilizza nel processo produttivo.

Per questo abbiamo scelto di essere una B-corp e promuoviamo questa scelta anche presso altre aziende.

Malgrado le apparenze, la certificazione di B-Lab ha poco a che vedere con avere un dipartimento di Corporate Social Responsibility: reparto aziendale collaterale al business per definizione, ha un budget assegnato per promuovere azioni di interesse collettivo, che riguardino l’ambiente, la formazione, la salute o l’inclusione sociale.

Il punto è proprio questo: un B-corp non “fa anche” cose di interesse collettivo, ma pone tra i propri obiettivi allo stesso livello del profitto. Una contraddizione rispetto all’idea che liberisti classici hanno predicato riguardo all’impresa, soggetto interamente votato al profitto, come sottolinea il sole24Ore in questo articolo recente, ma – a bene vedere – un’idea nuova di impresa che chi lavora nel digitale porta dentro: come sostiene Paolo Benanti sul Magazine del Corriere della Sera, l’ambiente culturale in cui nascono i colossi digitali è la California della controcultura:

Fu soprattutto l’ideale comunitario dei figli dei fiori, la loro indole libertaria, la voglia di allargare gli orizzonti e il disprezzo per l’autorità centralizzata a fare da asse portante per i fondamenti filosofici ed etici di Internet e dell’intera rivoluzione del personal computer.

Quindi lo statuto giuridico di Benefit Corporation, approvato in vari paesi del mondo, compresa l’Italia, è apparsa come l’opportunità di “diventare adulti” a chi lavora alla digital transformation avendo di vista non solo l’implementazione di procedure, ma soprattutto l’inclusione delle persone, l’armonia con l’ambiente, minore rigidità dei ruoli sociali, l’equità.

Certo non è tutto lineare: come sosteniamo in un articolo del nostro blog, una recensione al libro di Anna Wiener pubblicato da Adelphi, “La Valle Oscura”, la composizione eccessivamente omogenea della popolazione della Silicon Valley ha determinato obiettivi di breve periodo molto riconoscibili come sogni di giovani maschi bianchi che hanno studiato a Stanford. Ma le distanze tra chi fa le scelte e chi le subisce, proprio grazie alla rivoluzione digitale, si stanno accorciando e un nuovo tipo di autorità centralizzata è probabile che diventi sempre più soft ed inclusiva, fino a perdere – auspicabilmente – i propri confini.

Solo che, come accade di rado, in questo scorcio del terzo millennio, sembra proprio che non saranno gli adolescenti a cambiare per diventare adulti, ma sarà il mondo a diventare come loro hanno deciso.