Social Media Marketing, Customer Centricity e quello che le aziende non dicono.

Customer centricity

(perché non lo sanno dire)

Oggi ogni azienda ha delle properties digitali, dal sito ai vari social: sotto la bandiera della centralità del cliente il mondo del business si è buttato a pesce nel web, spesso restandoci impigliato. Non è immediato abbandonare la propria comfort-zone replicando modelli di comunicazione già sperimentati, e in una certa misura è inevitabile. Così assistiamo a pagine di siti, profili Twitter, Instagram e Facebook, invasi da contenuti molto “corporate”.

Ma sono contenuti che – specie sui social più d’intrattenimento – risultano noiosi, quando non apertamente stonati: il linguaggio da convention di venditori che viene usato ancora nella comunicazione interna (“il futuro è già qui”, “la crisi è un’opportunità” “tutti insieme per l’innovazione” e via così…) tracima spesso su linkedIn, facebook, instagram, persino su Tik Tok, trovandosi a interagire in contesti ironici, divertenti, leggeri, e dando luogo a una dissonanza che certo non giova alle aziende che si presentano in quel modo.

A chi lavora nella comunicazione da anni sarà capitato di sentirsi chiedere di creare un contenuto “virale” che parlasse di un nuovo piano tariffario: è una contraddizione in termini, perché gli oggetti che diventano virali o fanno ridere o richiamano esperienze straordinarie che vengono presentate come vere, o svelano misteri vecchi di secoli o risolvono annose questioni. Chi riposta qualcosa su un social vuole apparire divertente, affascinante, interessante, al limite provocatorio. Ecco, fatelo parlando di un piano tariffario e avrete tutta la mia ammirazione.

Per questo i contenuti confezionati con linguaggio corporate a volte vengono persino presi in giro, come uno che a una festa del liceo si mettesse a importunare i presenti con sermoni sulle tecniche di automotivazione delle organizzazioni piramidali di direct marketing.

Le aziende hanno bisogno di fare intrattenimento. Specie quelle che puntano ad associare dei valori al proprio brand: è un’operazione che non si fa senza produrre contenuti in linea con il linguaggio del mezzo che si usa. In fondo è chiaro, ogni azienda comunica su ogni canale, solo che ancora lo fa senza assumere seriamente consapevolezza del mezzo che usa.

Come si esce dalla comunicazione corporate

Un’azienda che vuole posizionarsi nella comunicazione online conosce bene il proprio mercato, le persone che ci lavorano, le dinamiche e le situazioni tipo. Conosce abbastanza bene anche l’orizzonte valoriale del suo pubblico, che cosa è rilevante per i propri utenti o clienti. In fin dei conti se ne serve regolarmente per elaborare strategie di marketing.

Questo è un patrimonio di conoscenza che spesso viene gestito – o non gestito – in modo inconsapevole, o almeno inconsapevole del fatto che sia un patrimonio.

Si tratta quindi di stabilire quale sia il patrimonio di conoscenza e la cultura aziendale, decidere a quali contenuti e a quali generi possono essere associate e condividerle nelle digital properties aziendali con il giusto format e il giusto linguaggio. In altri termini se volete raccontare gli investimenti in Africa di una azienda e farlo su Tik Tok per motivi che ritenete validi, i tre slogan che il vostro responsabile finance è disposto a dire con lo sguardo in macchina, come l’ultimo dei portaborse di fronte a Montecitorio (avete presente: “Questo governo deve andare a casa!”, ma poi dove avrà la residenza un governo dopo che ha lasciato il potere è difficile da stabilire…) sono perfettamente, totalmente inutili. Specie se glieli ha scritti il capo della comunicazione. Molto meglio se si mette nell’ordine di idee di danzare con una maschera addosso.

In fin dei conti le aziende che hanno avuto successo grazie al web si sono comportate proprio così: conoscere i linguaggi, capire cosa fanno gli utenti in una piattaforma, non deve mai venire dopo il messaggio che volete lanciare. Perché altrimenti rischiate di lanciarlo nel vuoto, dove neanche i meteoriti fanno rumore.