Appunti di un’addetta al customer support nella Silicon Valley

La capacità di creare futuro e la sensibilità per vederne la direzione

Dev’essere dura fare customer support in una data analytics company nel cuore della Silicon Valley.

E invece no.

Oppure non per i motivi che immaginiamo.

Anna Wiener racconta i suoi 5 anni (2013-2018) nella sorgente della contemporaneità,  e lo fa in modo brillante e contraddittorio come solo la non-fiction ha diritto di essere: lasciata alle spalle un apprendistato newyorkese in una casa editrice dove non faceva né un passo avanti né uno indietro, la scrittrice ha cercato un lavoro nel mondo delle start-up d’oro, nella Bay-Area, attorno a San Francisco.

Depending on whom you ask, it was either the apex, the inflection point, or the beginning of the end for Silicon Valley’s startup scene—what cynics called a bubble, optimists called the future, and my future coworkers, high on the fumes of world-historical potential, breathlessly called the ecosystem.

L’”ecosistema” nel quale la scrittrice si muove – forte anche della sua laurea in sociologia – in effetti muta secondo logiche sconosciute, ha improvvise accelerazioni – anzi – che forgiano il mondo, ma non sanno bene come.

La critica piuttosto severa di Wired (la trovate qui) si sofferma sulla contraddittorietà della ragazza contenta di guadagnare 100mila dollari l’anno – senza nemmeno scrivere codice! – e della scrittrice che si sente sempre “una concubina o una babysitter” in un mondo che non comprende fino in fondo, perché forse, troppo veloce persino per comprendere sé stesso.

Il memoir di Anna Wiener mette in fila scene spiazzanti, giudizi ironici e di momenti di istantanea felicità che non dissipano mai fino in fondo il senso di inadeguatezza, né la domanda “dove sono capitata?”. Forse la risposta è che questa brillantissima scrittrice ha un’urgenza di spiegazione e di senso che semplicemente nella Bay Area non è sentita, o è canalizzata e risolta con i giri di finanziamento delle start-up, nel successo di una piattaforma o di un software, o persino nel tenersi in forma. Troppo poco per una Newyorkese di agiata borghesia d’origine ashkenazita. O troppo poco per una donna, forse: la critica di Wired non prende mai in considerazione il fatto che la fucina dove si forgia il mondo di domani è fatta su misura per maschi giovani, bianchi, che hanno studiato a Stanford.

Per noi di CRMpartners è questo il punto in cui lo sguardo di Anna Wiener è più interessante: tanta potenza di calcolo, tanta capacità di analisi dati, è messa al servizio di quale visione del mondo? Probabilmente non è un caso che si moltiplichino gli scritti di donne (The big disruption – in italiano “La grande Distruzione” – di Jessica Powell, ex capo delle pubbliche relazioni di Google, qui intervistata su Business Insider) che hanno guardato dentro il mondo delle Big Tech e che ne raccontano – a sorpresa, ma neanche troppo – la carenza di visione di un “ecosistema” in cui nasce il futuro. L’ossessione per la performance economica mette in secondo piano tutto quello che una azienda Hi-tech determina a livello sociale, economico, ecologico. Sarebbe bello capire dove stiamo andando, in nome di quali valori, e che impatto questo ha sulle relazioni umane, sulla società, sul pianeta – sembra dire Anna Wiener quando mette in chiaro domande e contraddizioni che non scioglie.

 

E noi, perché siamo una B-corp, preferiamo lo sguardo di Anna Wiener.